LE ROVINE CI ROVINANO …ET VOILA’
Giorno 3
Anche stamattina il sole bussa alla nostra porta e le cicale ci danno la sveglia. Nemmeno il tempo di aprire gli occhi e abbiamo già addosso gli occhiali da sole… Xerocampos è inondata di luce e noi con lei. Cosa faremo oggi? Intanto colazione, con le uova fresche che ci ha portato Evelina, direttamente dalle sue galline; ci racconta che ne ha alcune e che spesso depongono le uova più di una volta al giorno. Questi piccoli pensieri, queste coccole ci fanno sentire sempre grati di essere qui. Decidiamo di scappare dal sole e dal caldo e di salire più in alto, dove il paesaggio è davvero dominato solo dalle erbe selvatiche, in primis timo, origano e salvia, e dalla nuda roccia cretese. Ogni tanto una capretta coraggiosa si mette di vedetta su una roccia e scruta il nostro passaggio. Incontriamo poche auto in direzione opposta alla nostra che scendono lungo la strada tutta tornanti che porta all’assolata Xerocampos e al suo mare turchese che visto da quassù è una distesa immensa che pare pennellata a tempera, densa e profonda.
Ci fermiamo un attimo a Chandras davanti alla sua fontana e decidiamo di lasciare la visita delle sue rovine al pomeriggio (specifico subito che il concetto che ho di rovine è assolutamente positivo, sono vestigia del passato che restano lì, in piedi, per ricordare a chi vorrà dedicare loro un po’ di tempo quello che è stato). Etia è a soli 3 km e nonostante l’abbia già visto in uno scorso viaggio, il richiamo delle piccole case cadute che hanno come tetto grandi alberi di fico e come intonaco sterpi e capperi è troppo forte e in un attimo siamo lì. E’ tutto bello come lo ricordavo, anzi, il palazzo fortezza che domina il paese è stato restaurato ed è aperto e visitabile.
Dentro troviamo la storia di questo (ai nostri occhi ) piccolo paese, dei suoi contatti con Cipro e con i Veneziani, la ricostruzione della genealogia familiare che l’ha portato ad avere 500 abitanti. La fontana posta davanti alla sua facciata è stata costruita dal priore del vicino monastero come ringraziamento al Signore. Ci addentriamo poi fra le case crollare del paese e nella chiesa dedicata a Santa Caterina, che ha per noi un significato profondo e alla quale siamo particolarmente legati.
Da Etia ci dirigiamo verso la piccola chiesa dedicata a Santa Sofia, che sorge bianca su un pianoro bruciato dal sole, attorniata dai resti dell’antico monastero che l’ha preceduta, pietre cadute, muri crollati ma le imponenti architravi sono ancora al loro posto.
Siamo completamente immersi nel sole e attorniati dalle cicale che dimorano allegre sui pini marittimi fuori la chiesa, che ci salutano stridenti e allegre e si ammutoliscono al nostro passare per riprendere pochi attimi dopo il loro incessante canto festoso. Tutto attorno alla chiesa coltivazioni di vite e ulivi pettinati, nessun altro all’orizzonte.
Per pranzo torniamo a Chandras, e ci fermiamo nella piazzetta che ospita entrambe le taverne “rivali”, una sulla destra e una sulla sinistra. Ci sediamo in una delle due scelta assolutamente a caso. La nostra ospite arriva subito a chiederci in greco stretto cosa desideriamo, e con le poche parole che conosciamo ordiniamo dolmades e souvlaki, seduti all’ombra dei platani su comode sedie scompagnate che creano quell’atmosfera festosa da “pranzo nel giardino di nonna”. Siamo gli unici avventori, ma ci fanno compagnia un cagnolino in cerca di coccole e un gatto che elemosina un pezzettino del nostro souvlaki ma che non ha la pazienza di aspettare che ci venga portato il cibo a tavola. Si rifugia furtivo sotto un tavolo all’ombra e si stende per una pennichella felina. Dopo una albicocca dolcissima e una robusta dose di raki assolutamente casalingo on una gradazione alcolica ai limiti della legalità, partiamo ristorati (con la testa leggera e le gambe molli) alla volta di… Voila!
Che non ha nulla a che fare con il francese ma è un paese medievale abbandonato dominato dalla torre costruita dal veneziano islamizzato Zeni nel 1740 attorno alla quale si sviluppa tutto il piccolo villaggio. Il forno è ancora perfettamente visibile, la chiesa conserva la sua abside, nella torre si può entrare e guardare con il naso all’insù il soffitto e le la luce filtrare da fuori. Siamo su un rialzo naturale ai piedi dei massi cretesi, attorniati da una natura con connotazione decisamente montana, erba biscia e fiori stupendi simili a enormi cardi (scopriremo poi che si trattava di fiori di carciofo). Rovi e salvia ci indicano olfattivamente il sentiero e ci conducono all’estremità del paese dove un enorme oleandro rosa cela una fontana che raccoglieva l’acqua che sgorgava dalla fonte alle sue spalle. Una gemella si trova all’altra estremità. E in cima a una piccola scala, dopo un breve sentiero sassoso, troviamo la stupenda chiesa dedicata a San Giorgio, a doppia navata, e con un affresco raffigurante la Vergine con il Bambino a custodia della sepoltura di non sappiamo purtroppo chi, perchè l’iscrizione era troppo consunta per essere interpretata da chi come noi non è proprio il genio della codifica dell’epigrafia greca.
Vaghiamo sotto il sole e sospinti dal vento per più di un’ora, fotografando ogni angolo e respirando antichità. Come sempre, fatichiamo a staccarci dai luoghi che si fanno scoprire piano piano, che vanno cercati e conquistati e che irrimediabilmente sono loro a conquistare noi. Risaliamo in auto storditi dal caldo e un po’ stanchi. Ripartiamo in direzione di Ziros, che attraversiamo troppo in fretta e che non ci godiamo abbastanza e come già troppe volte rimandiamo la visita al paese quasi abbandonato di Chametoulo, questo angolo di Creta è per noi sfuggente come una piccola anguilla.
Rientriamo che è ormai sera, troppo tardi per una bagno in mare, troppo presto per la doccia serale, così passiamo un po’ di tempo sulla nostra veranda a vedere la luce cambiare e a aspettare la luna, che sorge imponente ammantata d’oro, stasera è rossa e sembra voler imitare il suo fratello sole non solo nel colore . La guardiamo salire veloce in cielo dalla nostra taverna del cuore, piena e luminosa, gialla ed enorme, Una volta al suo posto e tornata bianca e splendente la andiamo a fotografare di nuovo, perchè ogni notte la luna è sempre la stessa, ma come la più brava delle attrici, non indossa mai due volte lo stesso abito.
E quindi noi la osserviamo in silenzio così, con il suo abito d’argento che termina in uno strascico che accarezza il mare. E’ talmente luminosa he le stelle si ritirano in un angolo, e anche noi. Buona notte !