ALLA SCOPERTA DI PAESINI DIMENTICATI E UN RITORNO NEL POSTO DEL CUORE

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E’ il 6 ottobre, apro gli occhi e realizzo che la notte appena trascorsa l’ho passata davvero a Creta! Non ci credo ancora, dopo un’estate lunga e che per vari impedimenti ci ha tenuti ancorati al divano di casa, siamo davvero riusciti a prendere il volo e ad atterrare nella nostra tanto amata isola. L’isola di Dia mi saluta e mi strizza l’occhio fra le nuvole e il vento, il mare blu di ottobre non è agitato, ma nemmeno tranquillo, il vento si fa sentire ma non tanto da essere fastidioso. Mi piace pensare che Creta sappia che sono arrivata, e mi sento esattamente come è lei, piena di tutto. L’inizio della giornata è dei più dolci, perché oltre ad essere in un luogo che immediatamente mi fa sentire bene, sono anche fra le braccia di una cara amica. Creta oltre che luoghi sta diventando “persone” e mi sento sempre più accolta e abbracciata da questa terra. La giornata vola via in fretta fra chiacchiere, cibo, tanto cibo, e nel pomeriggio non può mancare una corsa verso il mare. Andiamo a passeggiare in zona Chersonissos, tanto bistrattata e forse poco capita, che sebbene non sia una delle mie favorite, ci regala un pomeriggio rilassante e divertente, fatto di minuti interminabili a crogiolarsi al sole seduti sulle panchine a guardare le onde. Ceniamo in casa, in una calda atmosfera di amicizia e serenità, e già ci raccontiamo cosa ci piacerebbe fare domani. La sera è il momento dei progetti e dei racconti, soddisfatti e felici davanti a un raki, forse più d’uno. La mattina seguente Creta ci accoglie ancora un po’ imbronciata, con i suoi nuvoloni autunnali all’orizzonte. Oggi niente mare, approfittiamo della giornata un po’ fresca per esplorare i dintorni e soprattutto l’entroterra di Elounda. La nostra Pandina ci porta a Fourni, un paese piccolo piccolo, vecchierello, ma forse proprio per questo intensamente vero. Passeggiamo piano piano fra le sue strade minuscole, arriviamo nella piazza dove una taverna sotto i platani ci invita a sederci; rifiutare il richiamo di un pranzo ottobrino è impossibile e la scelta si rivela azzeccatissima. Alla taverna Platanos ci leviamo un bel po’ di voglie culinarie covate durante gli scorsi mesi, e le sue piccole chiese, le case antiche imbiancate e ognuna con la sua pergola, i vetri delle finestre appena sostituiti o con una patina di polvere depositata dal tempo ci portano ad essere nel nostro “modo” giusto, così come piace a noi. Non sono riuscita a contare in quante case avrei voluto sbirciare, quanti vecchi portoni avrei voluto aprire, incrostati di ruggine e con la vernice scrostata, ma nonostante il tempo, saldi sui cardini e protetti dalle loro cornici di pietra. Qui non si vede il mare, si percepisce tutta la forza della vita agreste, insieme alla sua fatica, alla coltivazione di viti e patate (tantissime ed enormi nei sacchi accatastati sui tanti pickup che incontriamo). Qui si respira un’aria da secolo scorso, di anni che non ho vissuto, che posso solo immaginare. Da Fourni ci spostiamo a Kastelli, altro paesino meraviglioso, dove ci perdiamo tra viuzze pergolate, dove i lampioni sono a forma di lanterna, dove ci siamo solo noi e i gatti, e una nonnina che risponde con un sorriso al nostro saluto. Dove le pergole abbondando ricche di uva, dove le bouganville sono di mille colori e dove ci si può perdere nel silenzio dei propri pensieri, passeggiando e provando a immaginare come sono state le vite di chi ha camminato qui prima di noi. Ci fermiamo per un caffè nel kafeneio sulla strada principale, dal nome bizzarro visto il luogo dove è ubicato, “to limani”, il porto. I tavolini sono messi a bordo strada con le sedie impagliate e scompagnate, ma con un fiore o una piantina posato su ciascuno di essi. Un avventore della taverna accanto va ad avvertire la padrona del locale del nostro arrivo, e ci accorgiamo così che a gestire il luogo e occuparsi dei suoi ospiti è una vecchina minuta e un po’ curva. Non le facciamo fare il servizio, ce lo facciamo noi portandoci il nostro caffè al tavolo e rimaniamo lì chiacchierando di quanto sia bello tutto quello che ci circonda e di quanto siamo ancora una volta fortunati a potercelo godere. Torniamo al parcheggio (che è uno spiazzo nella campagna sotto gli ulivi) con gli occhi bene aperti, cercando la data sulle architravi delle porte, ci stupiamo del 1911, ma solo perché non ci eravamo ancora imbattuti nel 1891! Storditi da questo salto temporale decidiamo di scendere verso Plaka, lì conosco bene la visuale che mi aspetta, so che ci sarà la mia tanto amata immobile Spinalonga baciata dai raggi del sole pomeridiano, ma vederla dall’alto, da una nuova prospettiva, mi fa crescere dentro un’emozione indescrivibile, che sarà e potrà essere sempre e solo mia. E così lasciamo la nostra auto sotto una tamerice immensa e ci avviciniamo al mare, che canta sui ciottoli, incredibilmente blu e incredibilmente bello. E là davanti c’è lei, il mio isolotto del cuore, che custodisce fra le sue mura così tanta storia e così tante storie che una vita intera non credo basterebbe per impararla tutta e per sentirle tutte. E così, rimango lì, sui ciottoli di Plaka a guardare ve riguardare, in un saluto muto e intimo, solo io e lei. Facciamo una passeggiata anche qui, sul lungomare, a guardare le barche ormeggiate, con l’ultima che da Spinalonga si avvia verso Elounda. Non so perché amo così tanto questo posto, ma per me è un richiamo impossibile da ignorare. Iniziano a cadere le prime gocce di pioggia, ed è ora di andare. Ma so che non è un addio, ma un arrivederci, a presto!

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